“Avevo
proposto circa un anno e mezzo fa l’idea di un convegno di Futurologia che
affrontasse non soltanto i problemi dell’economia e dell’industria, ma tutto
l’intero arco delle questioni del nostro futuro (…) Ho usato quel termine per
segnalare che oggi non sono entrati in discussione soltanto gli assetti
produttivi e le strutture del capitalismo maturo, ma siamo di fronte ad una
vera e propria crisi del mondo.”
Era il 1983 e così raccontava Berlinguer,
durante una storica intervista, ad Adornato. Sarebbero trascorsi tre anni e
sarei nata io- protagonista e- paradossalmente- spettatrice- di una crisi profonda
almeno quanto quella di cui discuteva Berlinguer, per cui mi sarei ritrovata a
chiedermi - e a chiedere - se i tempi non fossero maturi per rilanciare l’idea
di un convegno di Futurologia.
Nel 2013, come nel 1983, i
temi sul tavolo sarebbero tanti.
Servirebbero molte sedie.
Chi le occuperebbe?
Le risposte a
questa domanda sono tra le ragioni di questo tentativo – più o meno tecnologico- risultato di una scommessa fatta dopo un lungo pranzo domenicale.
In uno slancio di ottimismo,
assumiamo come premessa, che la progettazione del nostro futuro sia inserita
nell’agenda politico-istituzionale. Ma di chi?
L’attuale classe dirigente
italiana, dall’economia alla politica, dalla PA alle organizzazioni sindacali,
finanche all’Università, ha un’età media pari a 59 anni.E' scientificamente provato che grazie alla dieta mediterranea nel Bel Paese si è giovani ben oltre la soglia dei 40 anni.
Fonte: Coldiretti, 2012
Messa da parte l'ironia, il de-giovanimento della
nostra classe dirigente è positivamente correlato alla struttura demografica
del nostro Paese, dove, i giovani rappresentano una minoranza, poco più del 20%, con previsioni non incoraggianti.
Al 2020, infatti, si stima che la fascia di popolazione 18-49 anni raggiungerà
circa 24 milioni, mentre gli over 50 saranno 27,5 milioni. Nel prossimo
decennio, dunque, la classe di età 20-39 anni continuerà a rappresentare
poco più del 20% degli abitanti nel Paese.
Continuerà ad essere una minoranza.
Ad oggi, tale distorsione della piramide demografica si traduce in una modesta
capacità di influenzare i processi politici e decisionali, alterando il funzionamento dei meccanismi della
democrazia, soprattutto nella sua forma rappresentativa. Il dato anagrafico, proprio come il sesso, ha finito col determinare un tetto di cristallo.
Difficile, quando non impossibile, da infrangere. Considerando le previsioni
sull’andamento demografico, il pericolo maggiore è – che proprio come è
avvenuto con la questione di genere- la questione generazionale si cronicizzi,
per due ragioni, tra loro relazionate. In primo luogo, noi-giovani- siamo oggetto
e non soggetto dei processi decisionali, soprattutto nella formulazione delle
politiche pubbliche, finanche quelle che più direttamente ci riguardano, dalla
riforma del mercato del lavoro alla riforma dell’Università. Proprio come
storicamente è accaduto a noi - donne. In seconda battuta, tale meccanismo impedisce
– attraverso i canali tradizionali- di scardinare le rendite di posizione,
spesso ottenute per anzianità e non per competenza, che pervadono tutte le
sfere dello spazio pubblico, diventando la cifra degli ingranaggi del Paese, e,
in molti casi, bloccandoli.
Capita – allora- che in
molti casi non riusciamo neanche ad intravedere il tetto di cristallo, in parte
perché è così opaco da non riuscire a percepirne la presenza, in parte perché non abbiamo un’ ascensore che ci accompagni a destinazione, neanche
per scontrarcici.
L’Italia è –infatti- una
Repubblica fondata sul familismo e sulla famiglia, tradizionale ammortizzatore del
Paese. A family affair. E’ questo il titolo scelto dall’OCSE per fotografare la
correlazione esistente tra il livello salariale e di educazione interparentale.
Nel caso dell’Italia il valore della correlazione tra gli stipendi dei genitori
e dei figli è pari a 0.5, sebbene, come sottolineato dallo stesso studio, i
risultati scolastici non siano influenzati dalle performances economiche e/o
scolastiche dei propri genitori. Il familismo si traduce, anzitutto, in un
forte immobilismo intergenerazionale.
Fonte: OCSE, 2011
E se l’ascensore ci lascia
a pian terreno, cerchiamo altre vie, usando le corde che abbiamo.
La famigerata fuga – di
cervelli e non solo- diventa una scelta sempre più gettonata. D’altro canto- è
quanto spesso ci sentiamo paternalisticamente suggerire, perché “si sa che la
gente da buoni consigli, se non può più dare il cattivo esempio”. Ecco –quindi-
riecheggiare nei bar, alle tavolate di famiglia (appunto!) e sulle colonne di giornali dei discorsi conditi da spolverate di
“andate via” e dalla retorica di “questo non è un Paese per giovani”
e “non (vi)ci merita”.
D’altronde siamo la generazione Erasmus, che ha accorciato le distanze fisiche,
con social network e voli Ryanair, pomeriggi passati a corsi di lingue ed estati passate all’estero. Cittadini
del mondo, a cui, però, è negato l’accesso al godimento di una cittadinanza piena,
civile, politica e sociale, da intendersi – cioè- in senso marshalliano.
Sebbene ci si riconosca la
centralità nella progettazione del futuro del Paese, a cui lo stesso – quasi
ex- Presidente della Repubblica decise di dedicare il discorso di fine anno del
2010 “ai più giovani, che vedono
avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano un’occupazione, cercano una strada(...)
perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli stessi
che si pongono per il futuro dell’Italia”.
E allora il pessimismo insiste nel pormi una nuova
domanda: come possiamo lasciare a chi ha contribuito alla costruzione di un
palazzo privo di ascensore e dalle fondamenta instabili, di ripensarne la
progettazione? Quando - senza vergogna- ammettono: “Avremmo voluto che fosse diverso
e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza
chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di
questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari
subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.”
In sottofondo De Gregori canta "Battere e Levare", un pensiero alla quotidianità mia e di quanti mi circondano, e si fa sempre più strada una considerazione: se scegliere significa rimediare
“all’imprevedibilità, alla caotica incertezza del futuro, è la facoltà di fare e
mantenere delle promesse” – come scriveva Arendt- non possiamo non lasciare
questo compito- per quanto oggi dannatamente gravoso- esclusivamente a chi già ha avuto la sua
possibilità. Per questo penso sia necessario per noi giovani riacquisire
consapevolezza della nostre potenzialità e del nostro dovere di pensare il futuro nostro e del nostro
Paese - ed esagerando- della nostra Europa, facendone anzitutto una questione di scelta, la nostra scelta- da intendersi- nel senso arendtiano-
come contraria alla rinuncia e all’indifferenza. Agitarci ed organizzarci, per usare - senza richiedere il permesso- lo
sguardo DEI giovani e non SUI giovani. Essere soggetto e non più oggetto, per
scalfire il tetto di cristallo, anche nel tentativo di scardinare gli
ingranaggi che bloccano il nostro Paese e ipotecano un futuro che- in virtù
del dato anagrafico- è un dovere, anzitutto nostro.
To be continued.....
Sottofondo: De Gregori si muove tra le "Curve della memoria".
Nonostante il miglioramento dell’ultimo
ventennio, solo il 15% è rappresentato da donne (Eurispes, 2011).